L’ingegno umano e l’IA: Navigare nella nuova era del lavoro

Nei primi del 20° secolo, il rinomato economista John Maynard Keynes ipotizzò che i progressi nella tecnologia avrebbero alla fine ridotto la settimana lavorativa a sole 15 ore. Mentre ci troviamo oggi, un secolo dopo, la realtà è ben diversa da questa visione. Una delle grandi lezioni di questa discrepanza è la sfida intrinseca nel fare previsioni accurate, soprattutto per quanto riguarda il mercato del lavoro.

Contrariamente alle affermazioni iniziali secondo cui l’intelligenza artificiale (IA) causerebbe una disoccupazione diffusa, vediamo che l’IA sta anche dando vita a nuove occupazioni. Prendiamo ad esempio l’emergere di un ruolo esecutivo chiave noto come “Chief AI Officer” (CAIO), una posizione indicativa dell’aumento dell’integrazione dell’IA nella gerarchia aziendale.

Le esatte responsabilità di un CAIO sono ancora in fase di discussione, ma ci si augura che rispecchino gli spunti di Giulio Maira, un noto neuroscienziato. Egli richiama l’attenzione su un aspetto unico della cognizione umana: la neuroplasticità. Come un albero, il cervello umano cresce ed evolve, creando nuovi rami e fiorendo con l’età. Passione ed emozione possono ravvivare la sua vitalità, aspetti in cui, finora, l’IA non può competere.

Gli esseri umani possiedono un amore per la conoscenza che va oltre la capacità di “ripetizione”. Questa nozione è radicata nella storia, persino rivelata nell’opera di Dante Alighieri, dove parla di un desiderio di incanto – una forma di magia impossibile da codificare nell’IA.

Sebbene prevedere il futuro rimanga un compito arduo, è chiaro che l’interazione tra l’intelligenza umana e l’intelligenza artificiale sta ridefinendo il panorama del lavoro. Incoraggia un equilibrio tra gli algoritmi orientati all’efficienza dell’IA e gli sforzi creativi e passionati che definiscono la natura umana.

The source of the article is from the blog xn--campiahoy-p6a.es

Privacy policy
Contact